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Ognuno plasma della propria giovinezza un simulacro mitico, ricco di sogni, grandi speranze, rosee attese, potenzialità in boccio, cancellando i dubbi, le paure, le ansie che accompagnavano quel difficile periodo della vita. Cosa pensavano, quali erano i passatempi preferiti dagli adolescenti delle famiglie borghesi ai tempi in cui non c'era ancora la televisione e i social media quali Facebook, Twitter e Instagram erano ancora nel limbo della mente dei maghetti di Harvard? L'autore quegli anni li ha vissuti, e in questa silloge narra delle lunghe ore di sonnolento studio sulle sudate carte di leopardiana memoria, intervallate da frequenti fughe alle finestre per osservare con interesse e curiosità la vita che si svolgeva là fuori: i pittoreschi personaggi che si agitavano sul palcoscenico della strada, assorbendone il colorito linguaggio popolare cercando di ricostruirne le storie, ora drammatiche ora buffe. Pare quasi di vederli: Federico, intraprendente e sempre pronto a ribattere alle altrui battute, Enrico, ragazzo riflessivo e lettore onnivoro, infine Gianni, il più atletico dei tre. L'humus culturale di cui erano, bene o male, imbevuti li riportava alle baruffe della commedia dell'arte, alle burle di Buffalmacco, al teatro di Goldoni.